| Non un passo indietro! |
| | Il 'biondino', le 'anime nere' e le patenti di Lazialità
di Stefano Greco
Quelli della mia generazione, ogni volta che vedono il suo faccione dietro un giocatore intervistato, pensano immediatamente al cantante biondo dei ‘Ricchi e Poveri’, oppure ad Enzo Paolo Turchi, il ballerino con il caschetto biondo diventato celebre per aver sposato Carmen Russo. Per i più giovani, invece, la sua immagine è legata ai programmi delle tv private in cui il ‘biondino’ andava in giro per i locali romani a intervistare personaggi improbabili presentandoli come se fossero delle star assolute delle notti romane. Ma l’enfasi era dovuta non tanto alla celebrità dei personaggi intervistati, quanto dal fatto che quei signori altro non erano che proprietari di locali che pagavano per essere intervistati e diventare protagonisti del programma. Di chi sto parlando? Di Stefano de Martino, del ‘biondino’ che da qualche tempo imperversa nel mondo-Lazio. Quello che, tanto per intenderci, il giorno dell’investitura a responsabile della Comunicazione della Lazio si presentò alla conferenza stampa a Formello con tanto di tessera degli ‘Eagles Supporters’, per dimostrare la sua antica fede laziale. E ha fatto bene a portare la tessera, perché di quel ‘biondino’ nessuno di quelli della mia generazione aveva memoria. Ed è strano, visto che siamo stati noi a fondare e far crescere gli ‘Eagles Supporters’. Peccato, che né a me né a quelli dei miei tempi sarebbe mai saltato in mente di presentarci sventolando una tessera, ma forse perché non ne avevamo bisogno, forse perché noi la nostra Lazialità l’abbiamo dimostrata anno dopo anno sul campo, battaglia dopo battaglia. E quindi non abbiamo bisogno né di tessere né di patenti per sentirci o per essere considerati laziali. Lui, invece, ora le patenti di Lazialità si sente in diritto di dispensarle. Fino ad oggi l’ho ignorato, come si fa con le persone che uno non considera degne di attenzione. Ma questa volta, il ‘biondino’ è uscito un po’ dal seminato, come si dice a Roma, “si è allargato”. A chi fosse sfuggito il suo sfogo accorato, riporto qualche passaggio sia del suo intervento di domenica a “Goal di Notte” che ieri in radio, per poi commentarlo. “A Roma c'è una situazione strana e a volte incomprensibile, la Lazio è da 18 mesi oramai costantemente tra i primi 4 posti della classifica, eppure ci sono delle ‘anime nere’ attorno alla Lazio che cercano solo di criticare a prescindere la società. Finché ci sarà una situazione del genere non potremmo mai fare il salto di qualità tanto auspicato dai tifosi laziali”. Le persone con gli attributi, caro ‘biondino’ quando lanciano un attacco di solito fanno nomi e cognomi, ma servono gli attributi per farlo. In casa Lazio si preferisce sparare nel mucchio, evitare sempre di fare nomi, in modo da poter sempre dire: “Vabbé, ma io mica ce l’avevo con te….”. Atteggiamento tipico del ‘padrone’, adottato anche da chi serve il padrone. Insomma, le ‘anime nere’ criticano a prescindere. Io mi dovrei chiamare fuori allora, visto che ogni volta che muovo qualche critica porto sempre degli elementi a riscontro. E lo sapete bene, visto che a Formello li leggete tutti gli articoli che scrivo. Ma so di essere considerato una di quelle ‘anime nere’. D’altra parte, nel piattume generale sono una delle poche voci fuori dal coro. Quello che fa ridere, è che sarebbe colpa delle ‘anime nere’ se la Lazio non fa il salto di qualità, sia come società che come squadra. Insomma, non sono mica le gaffe in serie che colleziona una società senza organico dirigenziale e che all’esterno viene vista come una sorta di Borgorosso Football Club del terzo millennio (soprattutto a causa dei comportamenti del suo presidente) a impedire alla Lazio di essere considerata una società seria, ma sono le critiche. Insomma, il problema non è chi provoca il casino, ma chi riporta la notizia o sottolinea la magagna. Ma il ‘biondino’ va oltre. “Quello che mi stupisce è che queste tipo di critiche provengono da persone che si professano ‘laziali’, il loro intento in realtà è sempre uno: dare addosso al presidente della Lazio. Non se ne può più di questa situazione, bisogna rispettare il tifoso laziale”. Essere laziali, per quel che mi riguarda, non significa né fare gli struzzi né imitare le tre scimmiette di mafiosa memoria (non vedo, non sento, non parlo). Essere laziali per quel che mi riguarda significa credere in certi valori e nel rispetto di questi valori. E se qualcuno questi valori li calpesta da anni, come ha fatto e continua a fare Lotito, questo per me è inaccettabile. Capisco che questo non sia accettabile per uno come il ‘biondino’, che prima di entrare alla Lazio era un signor nessuno e che ora che si è legato a Lotito ha preso in mano la comunicazione della Lazio e ha esportato il format di comunicazione della Lazio anche a Salerno. ‘Pecunia non olet’ dicevano i nostri avi latini, ma c’è un limite a tutto nella difesa anche dell’indifendibile. “Fino a quando nella Lazio non ci sarà un ambiente coeso e unito tra i tifosi non potremo mai avere rispetto da parte delle televisioni più importanti in Italia. Non regge più il discorso che negli anni passati forse sono stati commessi errori dall'attuale società, bisogna guardare avanti con fiducia”. Ecco, nello sfogoaccorato e accaloratodel‘biondino’, questa è in assoluto la parte più esilarante. Siamo allo “scurdammoce ‘o passato”, alla pietra tombale da mettere su “eventuali” errori commessi, perché non si ha neanche il coraggio di ammettere che di errori ne sono stati commessi. Il passato, caro ‘biondino’, non si cancella con un colpo di spugna, soprattutto se le ferite di quel passato sono profonde e ancora aperte. Si può perdonare qualcuno per gli errori commessi, se quel qualcuno chiede scusa e dimostra di essere realmente cambiato. E qui non c’è né l’una né l’altra cosa. Di scuse neanche l’ombra, di cambiamento neanche a parlarne. Perché non basta dare una rinfrescata alle pareti con un’aquila che vola e un paio di acquisti, caro ‘biondino’, per cancellare tutto e pretendere di ritrovare la verginità perduta. Non funziona così. Tu dici che sei stufo di sentir dire che la Lazio non era presente ai funerali di Gabriele Sandri, di Pesciarelli, di Maestrelli solo perché non c’era Lotito. E chi ci doveva andare secondo te? Ad un funerale di Stato ci vanno le massime autorità in rappresentanza dello Stato, se ogni volta presidente della Repubblica, presidente del Consiglio e presidenti di Camera e Senato restassero a casa spedendo solo i sottosegretari, secondo te caro ‘biondino’ si scatenerebbe o no un’ondata di indignazione? Seconde te, caro ‘biondino’, per uno che fa il presidente della Lazio per mestiere, era più importante essere presenti al funerale della mamma di Berlusconi, oppure a uno di quelli delle persone citate sopra per essere considerato un presidente in cui tutti i laziali possono identificarsi o dal quale possono sentirsi rappresentati? Perché vedi, caro ‘biondino’, se la Lazio mette il logo della Fondazione Sandri sulle maglie, tutti noi siamo contenti e applaudiamo. Ma questo non significa che non possiamo chiederci perché abbiamo dovuto aspettare quattro anni per veder succedere una cosa del genere, oppure perché la richiesta sia dovuta partire da una petizione popolare fatta dai tifosi e perché si sia dovuto aspettare anche l’intervento a supporto dell’iniziativa da parte di Alemanno per arrivare al fatidico sì. Secondo te, caro ‘biondino’ (e chiudo), significa non essere laziali chiedersi come mai da 4 anni, 5 mesi e 6 giorni la Lazio è in attesa di uno sponsor o come si possa pensare di incassare milioni di euro messi a bilancio dalla B&G Consulting, ovvero una S.r.l. che fa capo ad un marocchino che ha un negozio di bigiotteria e oggettistica di una vetrina in centro? Oppure significa fare i giornalisti, ovvero quel mestiere che facevano i suoi predecessori Guido Paglia, Alberto Dalla Palma e Antonio Agnocchetti e che fa un’anima nera come me da quasi 30 anni? Perché sai, non basta una tessera degli ‘Eagles Supporters’ per essere considerati laziali. Stima e rispetto, bisogna meritarseli sul campo. Vale per te, come per il tuo datore di lavoro. E se oggi Lotito è inviso al 90% dei tifosi della Lazio (e sopportato dal restante 10% solo perché non vedono un’alternativa all’orizzonte), la colpa non è né del ‘complotto’ né delle ‘anime nere’, ma di quello che si è seminato in questi sette anni. E nella vita si raccoglie sempre quello che si semina, caro ‘biondino’…..Cordata di San Marino, Cragnotti, Irriducibili, Lotito e la banca: ma chi ha fatto veramente il male della Lazio?
di Stefano Greco
“C’era un progetto di dividere società, di separare la squadra dal settore marketing o da quello della comunicazione o della gestione di Formello, creando altre società. E di questo avevo parlato con grandi investitori. Un piano ben preciso per potenziare la Lazio che fu interrotto bruscamente per volontà della Banca di Roma. E a distanza di anni, tutti parlano della gestione-Cragnotti, ma nessuno parla di quello che successe dopo la mia uscita di scena sotto la gestione-Capitalia voluta da chi guidava (il riferimento è chiaramente a Geronzi, anche se lui quel nome non lo pronuncia mai, ndr) la banca di riferimento della Lazio. Nessuno parla di quei 16 mesi che sono stati fondamentali per determinare la situazione economica che poi ha ereditato Lotito. E anche Lotito parla sempre di gestione-Cragnotti, ma non accenna mai a quello che è successo dopo la mia uscita di scena. Nessuno parla mai di quell’aumento di capitale dell’estate del 2002 al quale partecipai anche io accettando di non sottoscrivere e quindi di diluire così la mia partecipazione: un aumento di capitale che porto circa 120 milioni di euro nelle casse della Lazio, soldi che non sono andati né a sanare i 40 milioni di euro di debito fiscale né gli altri debiti. Con quei soldi, noi avremmo potuto continuare a gestire la Lazio come avevamo fatto nei 10 anni precedenti, senza contare che io in quello momento stavo portando avanti il progetto dello stadio di proprietà. Ma il 1° gennaio del 2003 la Banca di Roma ha voluto prendere il controllo della Lazio. Quindi è lì che devono essere ricercate le responsabilità per il fallimento di quel progetto e del perché nel giro di poco tempo i debiti della Lazio sono cresciuti a dismisura. Il perché è presto detto: uscito di scena Cragnotti, quel progetto è stato affidato a uomini improvvisati, a uomini che non avevano nessuna mentalità industriale e che quindi non hanno portato nessun valore aggiunto alla conduzione della società, aumentando invece a dismisura certi stipendi e quindi i costi di gestione. Questa è la verità, scritta nero su bianco nei bilanci”. Ho deciso di partire da qui, da questa dichiarazione che mi ha rilasciato Sergio Cragnotti in un’intervista di qualche tempo fa, per parlare della mia vicenda, della “cordata di San Marino”e di quel periodo. Alla luce della nostra sentenza, del fatto che dopo quasi 8 anni di processo e di gogna mediatica il giudice ha stabilito il “NON RICONOSCIMENTO DELLE STATUIZIONI CIVILI IN FAVORE DELLA SS LAZIO E DELLA CONSOB”, perché non ci fu né dolo né danno, il minimo sindacale sarebbero delle scuse da parte di chi per anni ci ha gettato fango addosso e ci ha dipinto come quelli che volevano far affondare la Lazio, come i responsabili di tutti i mali. NON ERA COSI’. Sostenere che i CATTIVI in realtà erano i buoni, oggi sarebbe troppo facile. Non lo faccio, perché per sostenere queste cose servono i FATTI, serve un qualcosa di concreto che al momento non c’è. O che per motivi abbastanza evidenti qualcuno ha impedito che si verificasse. Ma a quelli che mi ha scritto in questi giorni, sia in pubblico che in privato, chiedendo di sapere i nomi di chi ha manovrato contro la Lazio in quel periodo, io rispondo che i nomi sono da sempre sotto gli occhi di tutti. E non sono quelli dati pasto al pubblico, ma quelli di chi manovrava in modo più o meno occulto i fili di quella vicenda. I colpevoli del fatto che la Lazio è stata messa nelle mani di Lotito, in una sorta di limbo, non sono né di Stefano Greco né dell’avvocato Riccardi, ma di chi si è preoccupato solo di evitare che qualcuno mettesse naso e mani nei bilanci della Lazio, indicando bilanci alla mano i nomi di chi aveva portato la Lazio sull’orlo del baratro economico, dilapidando centinaia di milioni di euro degli azionisti e distruggendo quel patrimonio sportivo messo su in dieci anni da Sergio Cragnotti. Quindi, la Lazio non poteva finire nelle mani di un imprenditore FORTE, magari straniero, comunque svincolato da legami con la banca di riferimento e l’uomo che da anni muoveva tutti i fili sportivi, imprenditoriali e politici di questa città. Ovvero, l’allora numero uno di Capitalia, Cesare Geronzi. Serviva un Lotito, un piccolo imprenditore manovrabile, in grado di garantire alla Banca il silenzio assoluto su quegli anni. Anzi, pronto a scaricare in ogni occasione la responsabilità di quei 500 milioni di euro di debito (sorvolando chiaramente su tutti i crediti ereditati, che sfioravano i 100 milioni di euro tra entrate della Champions e trance di pagamenti di cessioni come quelle di Nedved, Crespo, Nesta, Stam, Stankovic o dei quasi 20 milioni di euro incassati per la vendita di Fiore e Corradi al Valencia) su Sergio Cragnotti. Sarebbe bastato leggere i bilanci, scoprire che quei 120 milioni di euro di aumento di capitale dell’estate del 2003 erano finiti nelle casse di Medio Credito Centrale e che poi erano stati usati non per assicurare un futuro alla Lazio, ma per saldare gli amici e gli amici degli amici che, in caso di fallimento, non sarebbero stati dei creditori privilegiati. Quindi, invece che pagare gli stipendi arretrati e i debiti con l’Erario, quei soldi furono usati per liquidare parcelle, per far rientrare subito la banca di vecchi crediti e via discorrendo. E per fare questo, era stato spazzato via Baraldi e al suo posto a dirigere la Lazio e a gestire la cassa erano stati messi l’avvocato Masoni e Giuseppe De Mita. Un po’ come affidare le monete d’oro di Pinocchio al “gatto e alla volpe”. Con Mangiafuoco (Geronzi), tranquillo dietro le quinte a muovere tutti i fili, con l’aiuto di Franco Carraro che, da presidente della Federcalcio, garantiva comunque l’iscrizione al campionato. Capitalia e Medio Credito Centrale (la banca di Carraro), controllavano in quegli anni più o meno direttamente Lazio, Roma, Napoli, Parma, Perugia e Fiorentina. O direttamente le società, oppure gli imprenditori che erano all’epoca proprietari della società e che dipendevano economicamente con le loro aziende da quelle due banche. Ovvero i vari Ferlaino, Tanzi, Gaucci e Cecchi Gori. Pensate che fine hanno fatto quegli imprenditori, pensate a come sono fallite una dopo l’altra Fiorentina, Napoli e Perugia, e il quadro è completo. Roma e Lazio, però, non potevano fallire. Il botto sarebbe stato troppo grosso e l’esplosione avrebbe creato seri danni, sia dal punto di vista dell’immagine della banca e di chi la gestiva, che dal punto di vista giudiziario, perché tra Roma e Lazio si arrivava quasi a 1 miliardo di euro di buco. Sì, avete letto bene: UN MILIARDO DI EURO. Così, i Sensi sono stati tenuti in silenzio dando ossigeno alla Roma ma al tempo stesso spolpando boccone dopo boccone tutto il patrimonio dell’impero costruito da Franco Sensi. La situazione della Lazio è stata gestita garantendo la sopravvivenza della società e facendo passare grazie al silenzio compiacente di chi guidava la società gli anni necessari per annullare le responsabilità penali di chi aveva gestito la società dopo la cacciata di Cragnotti e che aveva firmato i bilanci, approvando certe operazioni, assicurando stipendi fuori mercato e fuori logica a dirigenti, assicurando parcelle milionarie agli amici e agli amici degli amici, garantendo ad ogni componente del Cda di una società agonizzante da un minimo di 80.000 euro ad un massimo di 500.000 euro all’anno di stipendi. I nomi di questi personaggi erano e sono sotto gli occhi di tutti, ma per coprire ancora meglio tutto, c’era bisogno di alzare un po’ di polvere. Ed ecco allora i processi, i cattivi mandati sotto processo e sbattuti in prima pagina. Dal 2004 a oggi, sono partiti tre processi legati alle vicende della Lazio. Quello contro la “Cordata di San Marino”, quello contro Chinaglia e gli Irriducibili, quello sul patto parasociale occulto tra Lotito e Mezzaroma ai danni degli azionisti della Lazio. Al momento, quella contro gli Irriducibili è arrivato ad un punto tale per cui l’accusatore (Lotito), rischia di diventare accusato, perché il castello accusatorio è crollato pezzo dopo pezzo e si è scoperto, ad esempio, che non c’è stato danno economico per la società e che le presunte minacce non partivano dagli accusati, ma erano state costruite dalla famiglia dell’accusatore. Il nostro è andato a verdetto definitivo, con il NON LUOGO A PROCEDERE, L’ARCHIVIAZIONE E IL NON RICONOSCIMENTO DELLE STATUIZIONI CIVILI IN FAVORE DELLA SS LAZIO E DELLA CONSOB.E quello contro Lotito e Mezzaroma in primo grado ha visto la condanna a 2 anni del presidente della Lazio. Insomma, alla fine dei giochi, l’unico condannato è stato proprio lui, Claudio Lotito, ma i cattivi e i nemici della Lazio sono sempre gli altri. Chiedetevi, poi: come mai la Consob si è costituita parte civile nei processi contro di noi e contro Chinaglia e gli Irriducibili, ma non in quello contro Lotito? Forse, perché la maggior parte dei dirigenti della Consob dell’epoca erano ex dirigenti di Capitalia o di Banca di Roma? Forse perché non poteva essere attaccato l’uomo scelto dalla banca per tenere ben nascosti i nomi dei veri responsabili del dissesto della Lazio? In conclusione, vi invito a Guardare che cosa è successo e cosa sta succedendo con la Roma, ad esempio. La banca ha scelto gli americani ma gli ha nascosto buchi e buffi che escono uno dopo l’altro. E la banca pur di non far uscire quello che è successo in questi anni, ha finanziato e sta finanziando l’operazione di salvataggio e di rilancio della Roma. Noi, invece, siamo finiti prima all’Inferno e poi in un limbo, dove resteremo fino a quando resterà Lotito, l’uomo scelto dalla banca per salvare la Lazio. Ma siamo sicuri che sia stato scelto per “salvare la Lazio” e non, invece, per “salvare la banca”? La Lazio e la bufera scommesse: né complottista né colpevolista
di Stefano Greco
Ho evitato per giorni di parlare di questa nuova bufera che si è abbattuta sul calcio italiano, dell’ennesima inchiesta sul Calcioscommesse in cui la Lazio è finita sbattuta in prima pagina, oggi in compagnia di nomi illustri come quelli di tre nazionali Campioni del Mondo del 2006 come Cannavaro, Gattuso e ancora una volta Buffon. Ho evitato, perché ho vissuto sulla mia pelle gli effetti del tritacarne mediatico, di questo modo di fare giornalismo sbattendo mostri in prima pagina, magari preceduti da un “sembra”, un “secondo fonti giudiziare”, insomma con tutte quelle premesse che si usano per pararsi il sedere da eventuali querele e con le quali si giustifica il diritto di cronaca. O meglio, il diritto di sbattere qualcuno in prima pagina, altri nelle pagine centrali, altri in fondo a qualche riga e lasciando qualcuno sempre fuori, anche se il suo nome sta nel grande calderone dei “si dice, si mormora”. Questo modo di fare giornalismo non mi piace. Non mi è mai piaciuto e non lo dico perché anche questa volta nella lunga lista dei sospetti è finita la Lazio. Ho visto abbastanza calcio per capire da solo se una partita è accomodata, se in campo succede qualcosa di strano. E non da oggi. Basta vedere certi comportamenti, basta vedere certi colloqui a palla lontana tra giocatori che si coprono la bocca con la mano per non essere beccati dalle mille telecamere (basta ricordare quel dialogo tra Cassano e Liverani in quel famoso derby del 15 maggio 2005 finito con uno 0-0 annunciato), basta guardare la classifica o la ripetitività di certi risulti o dei comportamenti di certe squadre nella seconda parte della stagione. Il calcio è marcio da tempo e non è solo una questione di soldi. Per gente che guadagna 10 milioni di euro lordi all’anno, la molla non sono i soldi, ma il gusto del proibito, proprio come il politico o il personaggio famoso pescato ad andare con un transessuale. Non c’è grande differenza. Le troppe tentazioni, il brivido del proibito e la presunzione di chi si sente comunque intoccabile sono un cocktail perfetto che ha avvelenato molti e che ad ogni latitudine sta avvelenando il calcio. Bisognerebbe fare veramente piazza pulita, bisognerebbe avere il coraggio di azzerare tutto senza pensare alle conseguenze di questo azzeramento, ma nessuno avrà mai il coraggio di andare fino in fondo. E da questo, nascono i sospetti e i mugugni di chi finisce nel calderone. “Perché io sì e gli altri no?” E’ questa la domanda più ricorrente, il germe del “complottismo dilagante”. Chi finisce nel calderone, non pensa se i suoi idoli sono veramente corrotti, se la sua società è veramente colpevole o no, si sente per prima cosa vittima di un complotto. “Ci attaccano perché il nostro presidente è scomodo”, oppure, “attaccano noi per coprire gli altri solo perché siamo mediaticamente più deboli”. E via discorrendo. Il tutto, poi, condito dal comportamento di chi sfrutta la situazione per tirare acqua al proprio mulino. Potrei fare tanti esempi, ma preferisco guardare dentro casa mia e parlare di Lazio. Nell’estate del 2006, non mi sono unito al coro di chi al grido di “muoia Sansone con tutti i Filistei” era pronto ad accettare l’idea di veder scivolare la Lazio in B pur di liberarsi di Lotito. Pur con tutto il disprezzo possibile ed immaginabile per chi gestisce la Lazio da luglio del 2004, mi sono sforzato di guardare i fatti, di vedere se c’erano prove inconfutabili della colpevolezza di Lotito e quindi della Lazio. E secondo me non c’erano. C’era un comportamento da traffichino di Lotito, tipico del personaggio arrogante e borioso che oramai conosciamo bene, ma nulla di più. Ora ci risiamo. Nella bufera sono finite Lazio-Genoa e Lecce-Lazio. La prima, è il classico esempio della ridicolaggine dell’80% delle partite di fine stagione del campionato italiano, in tutte le serie, dalla Serie A ai Dilettanti. Primo tempo da fischi, secondo tempo con una squadra che non ha nulla da chiedere che dà l’impressione di scansarsi, oppure di essere rimasta negli spogliatoi. Se al minestrone si aggiungono i rapporti tra Lotito e Preziosi, il gioco è presto fatto e il sospetto per qualcuno diventa certezza, con o senza prove di un coinvolgimento diretto dei giocatori o della società. Stesso discorso per Lecce-Lazio, sfida tra una squadra salva e una che si gioca un traguardo che vale ipoteticamente circa 20 milioni di euro. Non serviva un genio per ipotizzare già alla vigilia una goleada. Inutile, tra l’altro. Perché se si volevano fare le cose per bene (ovvero traendo vantaggio economico reale) allora si faceva il bis di Dinamo Zagabria-Lione, segnando il numero di gol necessari per consentire alla Lazio di scavalcare l’Udinese nella differenza reti. Si discute di Lazio-Lecce, non si discute di Udinese-Milan, ad esempio, un pareggio annunciato come e più delle vittorie della Lazio contro Genoa e Lecce. O su altre partite ridicole andate in scena a fine campionato. In questa diversità di trattamento, si insinua il germe del sospetto e del “complottismo dilagante”. Sembra quindi di essere tornati indietro di 5 anni e si stanno formando gli stessi fronti dell’epoca, almeno in casa Lazio. C’è chi pur di liberarsi di Lotito sarebbe pronto ad affrontare qualsiasi verdetto e chi invece al contrario è pronto a difendere anche l’indifendibile e più che preoccuparsi di capire se la Lazio c’entra veramente oppure no, chiede a gran voce perché non è stata tirata in ballo neanche stavolta la Roma. Io non mi schiero né dall’una né dall’altra parte. Non per fare 0-0 come chi ha fatto da anni del “cerchiobottismo” uno stile di vita, ma perché non mi riconosco né in uno né nell’altro fronte. Ma mi chiedo una cosa. Indipendentemente dalla colpevolezza o dalla estraneità della Lazio in questa vicenda, come mai da sette anni a questa parte chi gestisce la Lazio ha trascinato la società in tutti i casini possibili e immaginabili? Dal primo calcio scommesse alle telefonate equivoche con Delio Rossi, dalle intercettazioni in cui si manovra per far giocare Siviglia anche se non ha l’idoneità per giocare per problemi al cuore (chiudendo poi la vicenda con un bel rinnovo di contratto) alle mille battaglie legali intraprese (e regolarmente perse) contro i tesserati andando in modo palese contro il regolamento. Dalla condanna penale per aver aggirato le regole di Borsa per farsi i suoi porci comodi alle spalle degli azionisti a quella per i fatti di Calciopoli cercando di aggirare i regolamenti pur di evitare di perdere cariche elettive. C’è una guerra? Di mezzo c’è la Lazio, anche se quella guerra non è legata agli interessi della società, ma solo di chi la guida. In questi anni abbiamo fatto la guerra a tutti: dal presidente del Coni a quello della Federcalcio, dai giocatori ai procuratori, dai club più potenti a quelli che contano poco, dagli opinionisti televisivi ai giornalisti della carta stampata, noi siamo stati o siamo in guerra con tutti. E il bello, è che dopo anni in cui la Lazio viene gestita in questo modo c’è ancora qualcuno che poi si stupisce se la società finisce nel tritacarne mediatico. E invece che infuriarsi per come si è arrivati a questo punto, si sceglie la strada più breve, quella che porta ad urlare contro chi ha ordito l’ennesimo “complotto” ai danni della povera Lazio. Io, finché qualcuno non mi porterà prove INCONFUTABILI, continuerò a credere nell’estraneità della Lazio e ad augurarmi che la società ne possa uscire pulita e senza nessun danno materiale (a quelli morali, oramai, siamo vaccinati). Ma se così non fosse, a questo giro sarebbero danni, grossi. E qualcuno dovrebbe fare le valigie e scappare in fretta e furia da Roma. In silenzio e per sempre!Lotito, addio alla Lazio nel 2012?
di Stefano Greco
Nelle stanze della Federcalcio e delle tre leghe professionistiche, in questi giorni si parla di futuro. La crisi economica galoppante, la fuga dagli stadi degli spettatori e la fuga dal mondo del calcio di imprenditori disposti ad investire, negli ultimi anni hanno portato ad una serie di fallimenti (più o meno pilotati) senza precedenti. Il sistema calcio concepito negli ultimi anni si è dimostrato un vero e proprio fallimento: troppe 20 squadre in serie A, troppe 22 squadre in serie B, ma soprattutto una vera e propria follia 90 squadre in Lega Pro. E quindi, per evitare il crack, mano ai tagli, anche pesanti, a partire dalla Lega Pro che dal prossimo anno tornerà all’antico, con l’abolizione della seconda Lega Pro e con una serie C unica divisa in tre gironi (Nord, Centro e Sud) da 20 squadre come negli anni settanta, per ridurre i costi e per dare solidità ad un campionato che al momento non ha senso. Poi si metterà mano alla Serie B e successivamente alla Serie A, destinata a tornare a 18 o addirittura a 16 squadre, ma non prima del 2015, visto che la Lega ha già venduto il pacchetto calcio alle televisioni con la Serie A con 20 squadre. Bello, direte voi, ma a noi laziali che ce ne frega di tutto questo? In apparenza nulla, ma tra le pieghe di questa rivoluzione potrebbe essere nascosto il futuro della Lazio. Quando l’estate scorsa, travestito da buon samaritano, Claudio Lotito si è precipitato a Salerno per resuscitare una società gloriosa ma della quale era giù stato celebrato il funerale sportivo, in molti si sono chiesti il perché di questa scelta. Dopo pochi mesi, il perché è chiaro. A costo zero o quasi, Lotito si è creato una magnifica alternativa alla Lazio. Per questa stagione, i regolamenti gli consentono di controllare sia la Lazio che il Salerno Calcio, ma dal 1° luglio non potrà restare con i piedi in due scarpe. Il Salerno Calcio guida incontrastato il suo girone di Serie D e ha già in tasca la promozione nella serie superiore. E sarà un doppio salto, visto che con la riforma dei campionati già il prossimo anno la nuova creatura di Lotito potrà lottare addirittura per la promozione in Serie B. Ma per restare sul ponte di comando del Salerno Calcio, il buon samaritano nel 2012 dovrà fare una scelta definitiva, decidere se restare alla guida della Lazio e se trasferirsi armi e bagagli a Salerno. Perché con i venti di guerra che tirano, non gli sarebbe possibile mascherare la doppia proprietà di Lazio e Salerno Calcio. A prima vista, la scelta potrebbe apparire scontata. Chi deciderebbe di lasciare la vetrina mediatica che offre una squadra di Roma e una società entrata oramai stabilmente tra le grandi del calcio italiano per trasferirsi a Salerno? All’apparenza solo un folle. Ma le cose a volte sono diverse da quello che appaiono. La vetrina mediatica, ad esempio, oramai è solo una chimera. La sentenza penale per Calciopoli e l’adozione da parte del CONI del “codice etico sportivo”, hanno di fatto spento i riflettori sul personaggio Lotito, almeno fino a settembre del 2012, data in cui scatterà la prescrizione per il processo su Calciopoli. Ma nell’adottare il codice etico, il CONI ha inserito tra i reati che prevedono la sospensione di un tesserato anche in caso di condanna non definita, anche l’aggiotaggio. E per il reato di aggiotaggio (più altri reati), Claudio Lotito è stato già condannato a 2 anni in primo grado dal Tribunale di Milano e tra febbraio e marzo è previsto il processo di appello. Quindi, la squalifica e la sospensione da tutte le cariche elettive, potrebbe andare anche ben oltre settembre del 2012. E senza la vetrina mediatica garantita da una piazza come Roma, la Lazio al momento per Lotito diventa un vero e proprio peso. I costi di gestione della società negli ultimi anni sono lievitati al punto da rendere impossibile o quasi l’autofinanziamento messo in atto in questi ultimi anni. Le entrate non sono cresciute, le varie iniziative da vetrina (come la web radio e la rivista) non hanno fruttato nulla o quasi, gli introiti da sponsorizzazioni non solo non sono cresciuti, ma sono addirittura diminuiti. In queste condizioni, per fare il salto di qualità richiesto e oramai quasi preteso dalla piazza, Lotito dovrebbe mettere per la prima volta mano al portafoglio e immettere soldi nella Lazio tramite un aumento di capitale. E non si parla di spicci, ma di qualcosa come 50-60 milioni di euro, calcolando il fatto che in caso di aumento di capitale Lotito sarebbe costretto a coprire i due-terzi della cifra complessiva, visto che al momento ha in mano il 66% del capitale sociale e non si può permettere di scendere sotto la quota di controllo del 50%, perché a quel punto la società diventerebbe scalabile sul mercato. Niente vetrina mediatica, quindi, soldi da mettere subito per rilanciare la società, poche speranze di realizzare in tempi brevi lo stadio e nessuna speranza di poterlo costruire su quei terreni sulla Tiberina che Lotito sognava di trasformare da vincolati e per uso agricolo, in edificabili, realizzando così l’affare della vita. Se a questo si aggiunge una contestazione silenziosa ma sempre presente, la guerra in atto con CONI e Federcalcio e la perdita della nomina a Consigliere Federale, l’impossibilità di poter mettere certe operazioni di mercato che in passato avevano “fruttato” molto, ecco spiegati i motivi per cui per Lotito diventa sempre più difficile gestire la Lazio. A Salerno, invece, il discorso sarebbe completamente diverso. Le spese per costruire una squadra in grado di lottare per la promozione in serie B sono imparagonabile agli investimenti necessari per far fare il salto di qualità alla Lazio. A Roma la società viaggia con una media inferiore ai 30.000 spettatori a partita, mentre a Salerno lo scorso anno per lo spareggio-promozione con il Verona di spettatori paganti ce ne stavano addirittura 25.000. Ma a fare la differenza, potrebbe essere il “contorno”. Se a Roma lo stadio è una chimera, a Salerno la giunta ha garantito il via libera per la costruzione di una cittadella dello sport con centro commerciale e unità abitative. Siamo lontani dalle cubature sognate con il progetto-Tiberina, ma di questi tempi si tratta comunque di cifre importanti, soprattutto in rapporto agli investimenti da fare sul piano sportivo. Per questo, ad ogni partita del Salerno Calcio in tribuna Lotito c’è sempre e se lui non può al posto suo c’è il fido Igli Tare, pronto a traslocare insieme a lotito in quel di Salerno. Chi a Salerno ha già messo radici è il “biondino”, che con la sua società ha esportato sulla costiera amalfitana il progetto-comunicazione messo su con la Lazio. Il sogno di una svolta in casa Lazio, quindi, potrebbe essere molto più vicino alla realizzazione di quanto si possa pensare e il 2012 potrebbe essere veramente l’anno della svolta. Maya permettendo, chiaramente…
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