| Gabrielli e le "prove di dittatura"
di Stefano Greco
“Più si radicalizzerà il confronto e meno spazi ci saranno per trovare forme di una diversa gestione di queste questioni. Queste manifestazioni mi convincono ancora di più della necessità di regole un po’ più dure. Se, invece, la gente ritornerà nelle curve, ritornerà allo stadio e dimostrerà nei comportamenti che la sicurezza e l’incolumità può essere garantita in altro modo. Io credo che nessuno sia così ottuso da non rivedere anche le proprie posizioni. Se invece di tratta di un braccio di ferro è chiaro che per loro sarà perdente. Ne va della credibilità dello Stato”.
Parto da qui, da questa frase che ho sentito in diretta (pronunciata da un prefetto che sta tentando di battere il record di impopolarità di Marino), perché dentro questa frase c’è tutta l’arroganza del “potere” o del braccio armato del potere, quella che odio da una vita. Senza neanche rendersene conto, perché dopo una vita passata tra servizi (più o meno) segreti, Digos e prefetture varie probabilmente si perde anche un po’ il contatto con la realtà e si pensa di poter fare qualsiasi cosa avendo in mano il “potere”, il prefetto Gabrielli pensando di porgere un mazzetto di fiori a chi contesta ha gettato invece una molotov su un deposito di benzina. Tu prendi una decisione, senza contattare preventivamente nessuna delle parti in causa (ovvero di chi pagherà le conseguenze della tua decisione) e solo perché il “popolo” protesta, allora accusi gli altri di aver iniziato un braccio di ferro e annunci che se non si arrendono la repressione sarà ancora più dura e perché contestato minacci regole ancora più dure. A casa mia, queste sono prove di dittatura, metodi usati da quei centro e sud americani (di qualsiasi colore politico) che dopo il golpe cercavano di mascherarsi da buoni che avevano solo fatto il bene del popolo, stupiti della reazione di qualcuno che non accettava quello stato di cose, con il “capataz” di turno che con volto sorridente minacciava tra le righe di stringere ancora più la vite in caso di “mancato ritorno alla normalità” o, meglio ancora, di resa incondizionata dell’opposizione. Della serie: arrendetevi e poi ne riparliamo.
Ho parlato di “popolo”, prima, perché a ribellarsi al muro di Berlino alzato da Gabrielli e alla militarizzazione dell’Olimpico non sono stati solo gli Ultras brutti sporchi e cattivi, ma chiunque si sia sentito privato di libertà e del gusto di passare una domenica allo stadio. Parlo anche di gente di 50-60 anni, di liberi professionisti, di padri di famiglia che dopo il caos, le file, le perquisizioni con la gente costretta a togliersi anche le scarpe (e via discorrendo) del preliminare di Champions League con il Bayer Leverkusen, hanno detto basta. Anzi, mai più! Io sono uno di quelli, ma ne ho sentiti tantissimi in fila dire: “è la prima e ultima volta che mi vedono quest’anno”. E, infatti, l’unico risultato che è riuscito ad ottenere Gabrielli è stato lo svuotamento dell’Olimpico, con un crollo di presenze in tutti i settori dello stadio nonostante due squadre che viaggiano nelle prime posizioni, come dimostrano i 25.000 presenti per Lazio-Milan, minimo storico per questa sfida che è arrivata a far registrare il tutto esaurito addirittura in Serie B.
Certo, è più facile prendersela con le società, dire che i tifosi non hanno capito e minacciare che prendere atto di aver sbagliato e chiedere scusa. Già, perché lo STATO (come lo intende Gabrielli), non chiede scusa: MAI! Neanche in occasione di stragi o di eventi (vogliamo parlare di Ustica?) in cui sono palesi gli errori, le bugie e i tentativi di occultare la verità. No, nel Gabrielli-pensiero lo STATO prima di mette faccia a terra e poi ti dice ragioniamo e cerchiamo una soluzione, perché “ne va della credibilità dello Stato”, dice il super prefetto. Provi a chiedersi che credibilità può avere uno STATO che impone regole assurde, che nella lotta alla violenza va completamente controcorrente militarizzando lo stadio quando i problemi da anni ci sono fuori dallo stadio. Che credibilità può avere chi alza barriere quando in Inghilterra la piaga l’hanno curata abolendo le barriere e imponendo il rispetto delle regole e pene certe per chi le viola. Quale dialogo ci può essere con chi convoca in questura persone ree di essersi appoggiate ad una vetrata o di aver aggirato il muro di Berlino per salutare un amico per poi tornare al proprio posto? Come si può pensare di ragionare con chi nega anche la possibilità di una protesta civile e pacifica? I metodi di Gabrielli sono gli stessi adottati da Lotito, perché sono i due lati apparentemente diversi di una stessa medaglia.
Lei ha detto che è assurdo che lo STATO impieghi 1700 uomini per garantire la sicurezza in un derby, ed è giusto. Ma non ci ha spiegato che cosa ci azzecca questo con la militarizzazione dell’Olimpico? Tantomeno ci ha spiegato come mai con uno schieramento di forze dell’ordine da G8 ci sono stati i soliti incidenti, nei soliti punti ben noti e che non erano affatto presidiati, Ponte Milvio in testa. Lei ora dice: “La prospettiva di un derby romano con le curve vuote mi provoca dispiacere: credo che un derby sia anche un momento di partecipazione. L’assenza dei tifosi in curva, sicuramente non è positiva”. Ma lei non è quello che a maggio, meno di sei mesi fa, ha minacciato di far giocare il derby a porte chiuse o di spostare la stracittadina di Roma a Firenze o a Napoli? Lei dice che la capienza ipotetica delle Curve era di 7.500 posti e che in realtà ci entravano 12-13.000 persone? E come è possibile in uno stadio in cui si entra passando per dei tornelli che si aprono solo facendo passare il codice del biglietto nominale sotto un lettore che non legge due volte lo stesso codice? E ha tirato fuori questa balla per giustificare lo spacchettamento delle Curve, l’innalzamento di barriere e la militarizzazione dell’Olimpico, accusando le società di non aver collaborato abbastanza per la riuscita del “suo” piano.
Ora che il caso è esploso, ora che si avvicina un derby destinato ad entrare nella storia con due curve vuote e il resto dello stadio completamente deserto (sono stati venduti meno di 1500 degli oltre 20.000 biglietti a disposizione dei tifosi della Lazio) e si rischia di trasmettere in mondovisione il fallimento di questa iniziativa, il prefetto parla di “dialogo”, ma solo in caso di “resa”. E minaccia “repressione” in caso di protrarsi di questo braccio di ferro. Bene, caro prefetto Gabrielli, quello che forse le sfugge e che tra la gente e i dittatori, alla fine a perdere sono sempre i dittatori. Non lo dico io, non lo sostengono gli Ultras brutti sporchi e cattivi, lo dice la storia.
Quindi, invece di fare il duro, invece di proseguire questa assurda guerra (scatenata da lei…) e questo braccio di ferro che come unico risultato ha prodotto un danno economico alle due società e un ulteriore danno d’immagine ad un calcio italiano già disastrato, chieda scusa: ammetta di aver preso una cantonata e si metta seduto seriamente ad un tavolo aperto a tutti, legando l’abbattimento dei muri al rispetto di regole che devono essere condivise, non imposte. Perché neanche gli animali entrano volentieri dentro le gabbie, figuriamoci se lo fanno persone che sono costrette pure a pagare per entrare in uno stadio trasformato in una sorta di lager e che hanno la possibilità di dire basta. Non di “ribellarsi”, ma non di non accettare quel qualcosa di assurdo che lei sta cercando di imporre con metodi che tutti sono meno che democratici e che volano anche la costituzione. Perché quando si arriva a criminalizzare chi esprime un pensiero (daspare chi espone uno striscione QUESTA CURVA NON SI DIVIDE), violando l’essenza dell’art. 21 della Costituzione, non si può parlare di dialogo. Queste sono prove di dittatura, anche se si parla solo di calcio. E questi metodi non sono più accettabili. E invece che minacciare, ringrazi che fino ad oggi la molotov che ha lanciato non abbia fatto divampare un incendio. Perché la gente ha dimostrato di essere più intelligente di chi impone le regole e, invece di accettare lo scontro e di iniziare la guerra ha deciso di dire basta, di lasciare vuoto il teatro per testimoniare in modo palese il fallimento del suo piano. Ne prenda atto e si comporti di conseguenza, perché in alcuni casi è molto più onorevole una resa che una guerra di principio fatta solo per mostrare i muscoli o per gettare le basi per entrare in politica. Come hanno fatto altri prefetti prima di lei, Serra in testa. Lo faccia, perché il “nemico” che lei sta combattendo oggi non sono gli Ultras, ma la gente normale… (sslaziofans.it)
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